lunedì 13 febbraio 2012

Storni

Si dice che gli storni siano l'ombra delle mani delle fate. 
Secoli fa l'uomo e le fate convivevano in una sintonia quasi perfetta, le une facendo benefici per gli umani, gli altri nutrendo quelle piccole creature alate con la loro felicità. Sono migliaia di anni ormai che quell'equilibrio si è rotto, e non c'è più posto per loro nella nostra società. 
Nel profondo di qualche bosco ancora se ne può udire il canto lieve, ma le città sono interdette a creature tanto delicate, e la vita in questi grovigli di cemento non è più benedetta dal loro sguardo benevolo.
Ma si dice che loro, le fate, non abbiano perso la speranza di ritornare a quell'unione lontana, e così pare abbiano istruito delle creature speciali per poterci mandare messaggi e parlare con noi. 
Solo chi ha l'animo puro può intendere quel linguaggio arcaico, e questa è la storia di un miracolo a cui ho assistito personalmente e che non posso spiegare altrimenti. 

Erano anni che Lorenzo sedeva a quella finestra. 
Ricordo bene quando nacque. La madre lo teneva tutto avvolto in una coperta pesante, e tornava a casa con lo sguardo raggiante che ogni neo mamma conosce. La gravidanza aveva trasformato quella ragazza esile e delicata in una creatura luminosa, e la maternità aveva se possibile completato l'opera. 

I giorni passavano lenti, diventarono settimane, e ancora nessuno era stato  accolto nell'appartamento del piano nobile per visitare il neonato. Strana cosa per una famiglia così nota in città: c'era sicuramente qualcosa di strano dietro, ma dalla mia finestra li vedevo danzare in un abbraccio d'amore, mamma e figlio, alle note di una ninna nanna sconosciuta mormorata a fior di labbra. E di strano non vedevo più nulla.
Solo dopo tempo si seppe che il piccolo Lorenzo aveva un difetto congenito, e che non avrebbe mai camminato. 
Passarono gli anni, e Lorenzo viveva seduto sulla sua sedia a rotelle. Lei aveva accantonato la sua vita per stare vicina al figlio, e credo che fossero felici. 
Finchè un giorno il sorriso di Lorenzo si fece triste, e tutti capirono che era cresciuto: la ragazza che amava stava passeggiando con un compagno sotto la sua finestra, cosa che lui non avrebbe mai potuto fare.
La madre si struggeva di dolore per quel figlio infelice, e nulla sembrava alleggerire il peso che portavano.
Proprio quell'anno arrivarono a frotte. 
Erano migliaia di elementi, forse diecimila, forse centomila, chi può dirlo. 
Arrivavano all'ora del tè e oscuravano il cielo. Non un grido, non un rumore, solo il fruscio delle ali frenetiche che scivolavano nel vento. Se ne andavano chissà dove dopo averci incantato con le loro danze, e sparivano dalla città fino all'indomani, alla stessa ora. 
Si allargavano come un nastro di raso che si scioglie da un fiocco, e poi tutti insieme svoltavano verso il centro, raggruppandosi in un cerchio compatto. L'istante dopo il cerchio era svanito, e ti ritrovavi a guardare ammutolito un'onda armoniosa che saliva spiraleggiando, salvo poi disperdersi in piccoli gruppi separati, con vita a sè. 
La città si fermava incantata, tutti col naso all'insù, e dalla mia finestra vedevo Lorenzo e la madre guardarli a bocca aperta, rapiti. 
Era come se li capissero! 
Era come se parlassero con loro: Lorenzo abbassava il capo e loro si precipitavano in picchiata, la mamma muoveva i capelli e loro si disperdevano come la sua chioma dorata nel vento. 
Si fermarono diversi giorni, e misteriosamente al tramonto svanivano nel nulla fino alla sera successiva. 

E una sera accadde. 
Lo stormo arrivò puntuale, e Lorenzo posò il libro che stava leggendo. 
Fu una cosa inspiegabile. 
Mille e mille uccelli tutti uguali turbinarono nel centro del nostro cortile, e poi salirono verso il cielo, lenti e silenziosi, per poi accelerare e vorticare, e girare ancora, e in un attimo disperdersi. 
Se ne erano andati.
Lo avevamo capito tutti. 
Lorenzo era in piedi alla finestra, senza appoggio alcuno, e tendeva le braccia al cielo, in un saluto muto. 
Era in piedi Lorenzo, e il suo sorriso era finalmente felice. 
Lo vidi abbracciare la madre in lacrime e rimanere così per un tempo interminabile. 
Poi, per mano, si incamminarono verso la vita.
 
Si dice che gli storni siano l'ombra delle mani delle fate, che tessono in cielo le parole arcane di un linguaggio perduto. 
Solo ai puri di cuore è dato leggerle, e costruire la propria felicità da quelle parole evanescenti...

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