martedì 24 aprile 2012

Il saggio

Il saggio ha imparato ad ascoltare il proprio corpo.
Egli sa quando è il momento di fermarsi, quando è l'ora della lotta o quella dell'accettazione.
Si mette continuamente alla prova per toccare i suoi limiti e spostarli un po' più avanti, ma sa fermarsi un attimo prima che quel limite lo pieghi, e accetta il fatto che oggi potrebbe doversi fermare addirittura prima di ieri.


Il saggio ha pianto e urlato, ha maledetto il fato e si è chiesto "Perché?".
Ma poi ha accettato la realtà, si è adeguato a ciò che non poteva cambiare e ha cambiato ciò che era in suo potere modificare. 
E' per questo che è divenuto saggio.


Il saggio accetta il proprio limite, rispetta il suo corpo come un viandante il padrone di casa che lo ospita.
Non rinuncia con fatica a cibi che ama ma che sa nocivi, perché è consapevole di poterseli concedere in un momento di festa. E questa consapevolezza gli permette di privarsene senza alcun rammarico.
Egli non soffre se la taglia del vestito che compra non è più quella di un tempo, ma si nutre della gioia che gli dà indossare quell'abito.


Il saggio ha vissuto con fragore la sua giovinezza, si è rifugiato in luoghi dove nessuno poteva raggiungerlo, ha ferito chi amava.
Ma poi ha salutato la quiete della maturità, ha abbattuto le barriere che lo nascondevano al mondo e ha svelato la sua luce alle persone più care.
E' per questo che è saggio, perché non teme di mostrarsi qual è.


E il saggio si ama. 
E' solo grazie a questo che può definirsi, veramente, Saggio.

lunedì 16 aprile 2012

Per te, amica mia

Moglie, hai abbandonato la tua casa per amore di tuo marito.
Figlia, hai abbandonato i tuoi sogni per amore di tua madre e rimanerle vicino.
Madre, hai abbandonato la tua realizzazione per amore dei tuoi figli.


Donna, ora è il momento. 
E' soltanto per amore tuo che devi alleggerirti di qualcos'altro.

venerdì 13 aprile 2012

Sacco di immondizia

Son bloccata a letto da giorni, sono stata male, molto male.
Devo dire che me la sono cavata, anche se potrei trovarne di cose per cui lamentarmi. Ma diventerei noiosa, e preferisco sorridere a chi mi chiede come stia, fare un cenno di assenso; tanto non mi costa nulla.
Dire che sto bene proprio non mi riesce, ma far sì con la testa è più facile, mi sento meno bugiarda.


Ieri è venuta la parrucchiera e mi ha sistemato la piega. Non mi sentivo a posto. Avevo i capelli nerissimi che raccoglievo in trecce sulla nuca, ma per comodità li ho tagliati corti. Non sono più così belli, ma mi piace non pensarci e ricordare come erano prima.
Gli occhi però sono ancora quelli, così neri da non distinguere la pupilla. Mio marito è sempre impazzito per i miei occhi... e a dire la verità non solo lui!
Ma non prendetemi per una civettuola, a me non è mai interessato altri che lui.


Guardo la sua foto sull'armadio, mi sorride da lontano e ho l'impressione di averlo vicino.
Devo pensarci un istante per rendermi conto che non c'è più, che non entrerà con dei fiori da quella porta. Mi ha sempre viziata, lo ammetto, e mi manca molto.
Eravamo così belli insieme. Adorava quando mi scioglievo le trecce e mettevo la crema sul viso, diceva che sembravo una bambola di porcellana perfetta.
Certo che ne è passato di tempo, anche se non mi sembra.
Mi sento ancora la sua bambola di porcellana, e vorrei pettinarmi di nuovo come facevo per lui.
Ma faccio così fatica a muovere questo braccio.


Un colpo di tosse: è la ragazza che viene ad aiutarmi ad alzarmi. Dicono sia la mia badante, come quei vecchietti non autosufficienti che hanno bisogno di essere aiutati in tutto.
Io sono autonoma, riesco a fare tutto da sola, ma non mi dispiace che qualcuno mi aiuti nelle incombenze quotidiane. Soprattutto ora che sono stata così male.
Magari quando guarirò la manderò via... vedremo.


Si avvicina con un braccio meccanico e mi aggancia con dei moschettoni a dei tiranti.
Il braccio di acciaio mi solleva come su un'amaca, e cullandomi mi sposta verso la sedia a rotelle. Mi giro un istante, un'ombra mi distrae.
E' una vecchia signora quella che appare sull'armadio, quell'ombra che mi ha chiamata a voltarmi. Un ammasso di ossa avvolte in un bozzolo oscillante, un volto scarno contornato di bianchi capelli spettinati, una bocca scavata con qualche dente mancante.
Non la riconosco, mi fa stringere il cuore.
Chi è quella vecchia signora ridotta così male?
E poi d'un tratto ricordo, un armadio a specchio...


Sono sempre io, racchiusa in questo corpo che non mi appartiene più.
Sono ancora io, anche se faccio fatica a rendermene conto.
Sono io.
Un sacco di immondizia.




("Un sacco di immondizia" è come si è definita più volte mia nonna, l'ultima volta che l'ho vista)

mercoledì 11 aprile 2012

Partenza

Partire.
Abbandono, silenzio, sguardo cupo.
Perché non posso restare? E' questa la mia casa, è qui che mi sento me stessa.
Dovevo fare mille cose, e sono riuscita appena a concluderne un paio. E' sempre così ogni volta che vengo.
E ora si parte, si va, ci si perde di nuovo.
Ho lo sguardo assetato di immagini, per portarmi via dettagli che non voglio dimenticare: ad ogni partenza si dilata in me la paura di non trovare più ogni cosa al suo posto, ogni persona come l'ho lasciata, al prossimo ritorno.
   E infine sospiro, rilassamento, abbandonarsi sul letto. Sono a casa finalmente.
Non sono più quella di stamattina, la solita trasformazione si è compiuta durante il viaggio, e una nuova me si distende nella nuova casa, nido caldo nell'odiata città.
Che io lo voglia o no è questa la mia vita, ed è qui che devo stare.
In un paio di giorni questa malinconia sarà cosa passata, basta solo aspettare che il tempo faccia il suo corso... In fondo ci si abitua a tutto.


Se n'è andata.
Anche stavolta il nostro tempo è scaduto, mi sfugge di nuovo e non posso far niente per trattenerla.
Perché non può restare? E' questa la sua casa, è qui che ha le sue radici.
Volevo dirle tante cose, ma a mala pena siamo riusciti a chiacchierare ieri sera, dopo cena.
Guardo i bimbi come sono oggi: al prossimo incontro saranno diversi, e io mi sarò perso la loro evoluzione, una parte di loro, i miei nipotini.
Vorrei allontanarmi, perché non veda i miei occhi arrossati. Ma non posso perdere gli ultimi minuti, lei è ancora qui e preferisco salutarli ancora una volta. Avrò tempo, poi, per stare solo.
Che io lo voglia o no è questa la vita che ha scelto, e devo lasciarla andare.
In fondo in un paio di giorni questa malinconia sarà passata... Ma è inutile prendersi in giro: non potrò abituarmici mai.

mercoledì 4 aprile 2012

Il ghigno beffardo

Il ragazzo ha un sorriso beffardo, quasi un ghigno che gli rimane stampato in faccia anche se non vuole. E' così da sempre, ha quel difetto alle labbra che lo rende diverso.
La gente non fa nemmeno troppi convenevoli, e guardandolo chiede schietta perché abbia la bocca così, senza mostrare eccessiva sensibilità verso di lui. Parlano come se lui non potesse udirli.


Non ne soffriva, prima. Pensava che ognuno avesse un suo segno distintivo che lo rendeva speciale, e sapeva che il suo sorriso particolare lo distingueva dagli altri. Ma col tempo ha iniziato ad accorgersi che essere diversi non sempre è una cosa positiva, che se non ti uniformi al resto del mondo la vita può essere molto più dura di quanto credi.
E così quel ghigno forzato è diventato triste, i suoi occhi sono leggermente colati all'ingiù e la maschera che ne risulta a guardarlo è un grottesco scherzo della natura.


La sua vita trascorre lenta in campagna, ha un limpido ruscello accanto alla fattoria in cui vive.
Ma ultimamente non riesce a spiegarsi certi strani fenomeni: ovunque lui si giri c'è un cespuglio sempre davanti a lui. Sembra appiccicato addosso, tanto gli è vicino.
Nonostante i continui sforzi per liberarsene, non appena il ragazzo si distrae il cespuglio cresce, si allunga inspiegabilmente e torna ad invadere il suo spazio vitale.
A nulla vale sradicarlo, inutile strapparne le foglie.


Frustrazione, sgomento, paura. Come può succedere tutto questo?
Il mondo sembra ribaltato, e le cose accadono in modo così strano da fargli pensare di essere impazzito. 
E una mattina, quando si sveglia, il cespuglio non c'è più.
Al suo posto un albero secolare, dal tronco sofferente e nodoso, le fronde cariche e fitte, e incombe su di lui ben più minaccioso del cespuglio.
Il ragazzo prova a spostarsi, ma si accorge che i suoi piedi sono ancorati al suolo, come tutto il resto del suo corpo è ancorato al cielo, d'altronde. Non riesce a muovere un passo e l'ansia lo assale, il ghigno si allarga in un terrificante urlo, silenzioso e agghiacciante.


"Hai fatto bene a mettere quell'albero al posto del ragazzino, ti era venuto proprio male", esclama una giovane donna abbracciando alle spalle il compagno.
Il pittore si distanzia dal quadro e lo osservano insieme abbracciati, quel paesaggio è davvero bello: un ruscello limpido con una fattoria sullo sfondo, nuvole minacciose sulla destra, e un ulivo secolare in primo piano, contorto, sofferente, a coprire un ragazzo venuto male.


"Ma come mai quella macchia rossa fra le foglie?"
"Non so, devono essere questi colori di qualità scadente... più provo a coprire il ragazzo e più mi torna fuori... cambierò marca"
Dietro all'ulivo, uno strappo sulla tela, impercettibile.
Il ragazzo è riuscito a divincolarsi dall'abbraccio soffocante della vernice ed è salito più in alto che ha potuto, fra le foglie fitte.
Finalmente si respira, e come cullato in un nido accogliente si addormenta sereno, il respiro rallenta, il ghigno si schiude.


martedì 3 aprile 2012

Dettagli e bagagli

Sonia va in metrò oggi. 
Non ama scendere in quel tunnel dall'odore pungente perché non vede il paesaggio, che sebbene spoglio e grigio è pur sempre meglio dei muri bui di quel cunicolo sotterraneo. 
Scivola giù silenziosa e trasparente con le scale mobili, e aspetta l'ondata di aria fredda che preannuncia l'arrivo del convoglio.  Quando l'aria che odora di bruciato le muove i capelli, fa istintivamente un passo indietro guardandosi attorno, non si sa mai.  
Non è l'ora di punta, Sonia trova posto senza problemi e si siede con la sguardo perso davanti a sè.  


Arriva un'anziana signora, borsa e sacchetti, e si siede proprio di fronte a lei.  
Tira fuori un romanzo d'avventura e si dimentica del mondo.  Non la vedresti una donna di quell'età con un romanzo così, e la cosa incuriosisce, lascia trapelare qualcosa di sè. 


Una fermata ancora e sale un'altra donna, capelli cortissimi completamente bianchi, occhi blu e scollatura abbondante.  È molto bella, sembra una modella di taglie "comode", un'esplosione di salute e raffinatezza. Borsa e sacchetto di carta in mano. 
Si siede e pensa, nient'altro. 
Chissà se ha una famiglia, chissà se si veste così per qualcuno, o semplicemente per piacere a se stessa. 


Una ragazza con le cuffie alle orecchie sta leggendo un libro di scuola, i capelli le coprono metà del volto, borsa sulle ginocchia e zaino ai piedi. 
Sottolinea più volte le stesse frasi, poi disegna un cuore sul bordo della pagina e si ferma un istante ad ammirarlo. La storia di ogni adolescente, e Sonia avrebbe voglia di parlarle, di metterla in guardia, di insegnarle la vita così come l'ha dovuta imparare lei.   


Poi guarda la sua di borsa, e inizia a notare ogni donna che le viaggia accanto.  
Ognuna col suo bagaglio, chi una sola borsa, chi è carica di sacchetti e buste, ma tutte sono piegate sotto il peso che si trasportano dietro.  Le donne la colpiscono e le regalano emozioni, le fanno tenerezza, le sembrano così forti e sole allo stesso tempo. Si sente solidale, le chiama sorelle.  
Ogni dettaglio le rende uniche e parla di loro.  


Prova a guardare anche gli uomini ma si accorge ben presto che non le suscitano alcun interesse. Sono vuoti contenitori di azioni, e dai loro occhi ben di rado emerge un'emozione. 
Uguali le divise, uguali i discorsi, non portano nulla con sè ad eccezione delle tasche gonfie che tradiscono un portafogli o un mazzo di chiavi. Banalità.  
Nessun segreto, nessun bagaglio, niente di niente.  
Osservano il vuoto o parlano a telefono a gran voce, inutili corpi che occupano posti.  


Arriva un giovane con lo zaino pesante, è bucato alla base e dai fori esce musica. Suona col sax una trascinata melodia di pubblicità, poi passa col cappello e scende al volo prima che si richiudano le porte.  Sonia lo segue con lo sguardo, si emoziona. Gli uomini nemmeno lo notano.  
Anche lui porta qualcosa, ha un curioso bagaglio e le sue azioni raccontano qualcosa di sè.  È arrivata la sua fermata. 


Sonia scende ed emerge alla luce. 
Il suo viaggio nel cuore della terra le ha insegnato molto.  
Prende una margherita e se la mette fra i capelli: parlerà di lei. 

lunedì 2 aprile 2012

2 Aprile 2010

Senti, arriva. Ecco le ruote che risuonano sul pavimento nudo.
Lo sento avvicinarsi e sorrido: è lui che viene. 


Chiuso nel suo guscio di plexiglas arriva annunciato da quell'atteso rotolare, e si vedono solo le piccole mani che si agitano dal lenzuolo celeste. 
Anche il suo pianto è attutito all'interno di quella culletta, ma è tanto rosso in viso che non ci sono dubbi su quanto si sforzi per farsi sentire.

Arriva da me, arriva per me dopo una lunga attesa. 

Lo aspetto con ansia da quando l'hanno portato via per le visite di routine, e mi manca dal primo istante.
Lo amo e non lo sa, quel morbido essere minuscolo ed arrabbiato. 

Ma non posso perdere tempo ora, devo prepararmi, lui sta arrivando finalmente!

E, di nuovo, sorrido. 


Sono passati due anni tesoro, due anni piccoli piccoli, ma che ti fanno sentire già grande.
Due anni che sembrano un'eternità, dal momento che non riesco nemmeno a ricordare come fosse la mia vita senza di te.


Tanti auguri piccolo mio!