giovedì 29 marzo 2012

Il bambino che non c'è

Dicono che si provi un grande dolore.
In realtà per me non è stato così. Non è il dolore che ricordo, se mi guardo indietro.
C'è il vuoto, c'è il freddo, c'è un silenzio che ti si appiccica addosso anche a distanza di anni.


Rivedo ragazze, donne, perfino ragazzine in quel corridoio, ognuna con la sua risata spavalda e la sua aria di indifferenza, prima.
Ma quando si esce ciascuna è piegata su di sé, un po' per il fastidio fisico, un po' per l'insopportabile peso che porta addosso. Ognuna è appoggiata al braccio di qualcuno che l'accompagna, che l'accarezza ma non capisce.
Come si fa a capire, se non lo si prova?


C'era vita in questo corpo, c'era calore, c'era un fruscio leggero che mi accompagnava in ogni istante.


Dicono che non si dimentichi mai.
E' cosa significhi quel "mai" che va spiegato, a chi non sa.
Mai significa soltanto una cosa: mai, mai, mai.
Passi i primi anni a guardare bambini incrociati per caso e immaginare qualcun altro, qualcuno che non c'è, che non è mai stato altro se non un breve pensiero.
Oggi avrebbe la sua età, ti ritrovi a mormorare a te stessa con gli occhi aggrappati ad un bimbo sorridente.
Poi un bel giorno ti accorgi che non guardi più gli altri bambini. Ti sei dimenticata.
Oh no, no, no.
Non ti sei dimenticata affatto, semplicemente il tempo smussa gli spigoli, e le cose si vivono con meno impeto. Cerchi di non pensarci più, ma ti basta passare davanti ad una scuola media e, senza sapere come, ti fermi a pensare a che classe farebbe oggi, e chissà se avrebbe la tuta rossa o blu per fare ginnastica.


Dicono che ti segni per sempre.
Come potrebbe non essere così: ora sono sola. Sola con la mia vecchiaia, con questa dannata sigaretta in mano e la spietata certezza che tornando indietro rifarei la stessa cosa.
E' il silenzio che mi angoscia, quel silenzio che continua a perseguitarmi, rotto soltanto dai piccoli tonfi ritmici uditi per la prima volta, per l'ultima volta, tanti anni fa.


Non mi importa degli altri, di quello che possono pensare, di come mi possono vedere.
Che pensino, che giudichino, io resto la stessa di prima.
E' il suo giudizio che temo, sono i suoi occhi che mi appaiono nel buio luminosi, che continuano a chiedermi perché e non danno tregua alla mia coscienza.


E' soltanto a lui che devo rendere conto dei miei trascorsi.
C'era vita in questo corpo, e non mi sono più sentita così completa.
C'era calore nel mio intimo, un piccolo e innocente segreto che mi portavo dietro all'insaputa di tutti, che mi teneva compagnia con la sua ingombrante presenza.
C'era un fruscio leggero che mi solleticava a tratti e si nutriva allegramente di vita.


E' a te che chiedo perdono oggi.
Bambino mio.

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