Appoggiata alla porta chiusa Antonella si asciugò una lacrima, ingoiò cercando di scacciare quel groppo pesante che le serrava la gola e si fece forza prima di rientrare.
Nella stanza due occhi grandi la scrutarono come a cercare di leggerle dentro.
Lei sorrise e fece una carezza a quel visino pallido indagatore.
Francesca spariva fra le lenzuola della branda, tanto era dimagrita, e a vederla così fragile e inerme Antonella si sentiva morire ogni istante di più.
I medici erano abituati a quel genere di cose, e con garbata naturalezza le avevano tolto ogni speranza: “Le analisi hanno confermato i nostri timori, ma non si preoccupi: oggigiorno si tiene tutto controllato con questo apparecchietto, e bastano tre punturine al giorno per regolare gli zuccheri nel sangue”
Non restava che dirlo alla bambina.
Facile dirle che a sei anni la tua vita dipende da quell’apparecchietto, che tre piccole punturine oggigiorno non sono niente, e che nulla sarà più come prima.
Facile spiegare a sei anni che la tua vita sarà diversa dai tuoi amici, che qualcosa dentro di te non funziona come dovrebbe, ma che puoi sperare nella ricerca, tra qualche decennio forse…
Antonella si struggeva di una disperazione cieca, mentre Francesca non la mollava un istante con quello sguardo indagatore, ignara del suo nuovo futuro.
Glielo si leggeva chiaro in faccia, pareva dire “Sono il tuo specchio mamma, dimmi tu come devo sentirmi. Se tu sei triste io sarò disperata, se tu sei tranquilla io sarò forte.”
Doveva apparire forte per lei, noncurante della tempesta che la straziava.
Luca non le aveva mai lasciate un istante, e cercava a modo suo di distrarle con battute e leggerezza.
Ma quando incrociava i suoi occhi, Antonella poteva leggervi dentro un tale terrore da farla sentire sgomenta.
Chissà se si sarebbe imbarcato di nuovo in quest’avventura, se avesse saputo quanto dolore ci avrebbe causato, pensava in alcuni momenti quella donna affranta, e si sentiva in colpa verso il marito oltre che verso la figlia per la sua malattia, non accettando che qualcosa potesse sfuggire al potere di una madre.
Accarezzando i capelli di Francesca ripensò al brivido che le aveva solleticato la schiena quando per la prima volta si era seduta sulle ginocchia di Luca, in discoteca. Avevano vent’anni.
Un paio di vite fa, forse.
Quel contatto così caldo aveva segnato la loro storia, e da allora non si erano più separati.
Erano stati felici, erano stati fortunati, ma era arrivato il momento in cui la vita presentava loro il conto, ed era ora di fare un bilancio.
Ne era valsa la pena?
Avrebbero barattato ogni momento di felicità passata per alleviare il dolore dei giorni presenti, ma sarebbe bastato per rendere la loro vita degna di essere vissuta?
Nessuno dovrebbe vedere star male un figlio, mai.Antonella non sapeva darsi una risposta e non osava chiedere al marito.
Il tempo ha fatto il suo corso, e Antonella si prepara con cura per una serata importante. Mette gli orecchini con i brillanti e il profumo che la fa sentire sensuale, sistema i capelli e si rigira soddisfatta davanti allo specchio.
Ha qualche ruga che la fa apparire vera, e non cerca di nascondere i segni della vita apparsi sul suo viso.
Luca la guarda e la vede bella, ancora dopo diciotto anni di matrimonio. Francesca li accompagna alla porta e li saluta, già pronta per la festa dei sedici anni della sua migliore amica. E’ radiosa.
Ci sarà sicuramente qualcuno che le piace alla festa, pensa divertita Antonella mentre Luca le apre lo sportello dell’auto.
Mentre vanno a festeggiare il loro anniversario le prende la mano con una dolcezza tutta nuova. “Ti sposerei altre cento volte, amore.”
Non l’aveva mai chiamata così.
La risposta che aveva tardato anni ad arrivare, nascosta nel silenzio della paura, è lì a portata di mano.
Ne è proprio valsa la pena.
(Questa è la storia di una dolce amica il cui sorriso si è un po’ velato negli ultimi anni, ma la cui forza non finisce mai di sorprendermi)
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